Famiglia Israel

Famiglia Israel
Le pietre sono state posate il 12 gennaio 2020 in via XX settembre 15 a Langhirano (Pr)

Nel 1941 la famiglia Israel viveva a Sarajevo. Ieshua, il capofamiglia, era un facoltoso commerciante di tessuti; Masalta, sua moglie, si dedicava alla cura della casa; mentre Liko, il loro unico figlio, si era laureato in Ingegneria elettrica a Zagabria e, dopo una specializzazione conseguita in Inghilterra, si era da poco trasferito per lavoro a Belgrado. Le operazioni militari italo-tedesche iniziate nell’aprile di quell’anno in Jugoslavia colsero gli Israel di sorpresa. Dopo un rocambolesco tentativo da parte di Ieshua e Masalta di raggiungere Liko a Belgrado, per sfuggire alle deportazioni tedesche e alla repressione Ustascia, i tre decisero di varcare la frontiera dalmata, trovando rifugio in un territorio controllato dagli italiani: all’epoca era diffusa tra gli jugoslavi l’idea che gli italiani non perseguitassero gli ebrei. La famiglia Israel venne sistemata provvisoriamente in un campo d’accoglienza a Curzola, un’isola al largo di Spalato; tuttavia, dato che il flusso di profughi dalla Serbia e dal neonato Stato Indipendente di Croazia non accennava a diminuire, le autorità Italiane decisero di “trasferire” una parte di queste persone in alcuni Comuni dell’Italia settentrionale. Fu così che Ieshua, Masalta e Liko arrivarono a Langhirano il 15 dicembre del 1942. Al loro arrivo gli venne assegnato un alloggio al secondo piano di via XX Settembre numero 45 (oggi è il civico 15) per il quale naturalmente erano tenuti a pagare un affitto. Gli Israel erano persone facoltose e per i primi tempi poterono contare su un piccolo gruzzolo che erano riusciti a conservare durante il viaggio. Più avanti dovettero invece affidarsi al magro sussidio giornaliero che lo Stato corrispondeva alle famiglie nella loro condizione. Nonostante le intimidazioni delle autorità italiane, che non vedevano di buon occhio i contatti tra la comunità locale e i profughi, gli Israel strinsero amicizia con il vicino di casa, Onesto Coruzzi: un calzolaio appassionato di opera lirica. Fu sicuramente questa passione ad avvicinarlo prima a Ieshua, anch’esso grande amante di Verdi e Toscanini, e poi al resto della famiglia. La figlia di Onesto, Giovanna Coruzzi, racconta che suo padre e Ieshua trascorrevano ore e ore insieme cantando arie d’opere verdiane. Onesto aiutava gli Israel con piccoli favori legati alla quotidianità. Giovanna ricorda che il carretto del latte passava in paese la mattina presto, prima delle sette. Per le famiglie di profughi però vigeva il divieto di uscire di casa prima di quell’ora. Per questo Onesto era solito riempire anche il pentolino degli Israel, consegnandoglielo poi sotto casa urlando: “Milk!, Milk!”, una delle poche parole inglesi che conosceva.

Dopo l’8 settembre la situazione per gli ebrei in Italia divenne critica. Per evitare di cadere vittima dei rastrellamenti, Ieshua, Liko e Masalta decisero di scappare in Svizzera, lasciando in custodia ad Onesto alcuni oggetti personali e due valige colme di vestiti che li avrebbero rallentati e resi sospetti durante la fuga. Giunti sul confine svizzero all’altezza del piccolo paese di Lanzo d’Intelvi, non disponendo di conti correnti presso banche elvetiche, il 3 dicembre del 1943 si videro respingere dalle guardie confinarie. Arrestati subito dopo, vennero tradotti al campo di Fossoli. Da lì gli Israel riuscirono a contattare Onesto, domandandogli se potesse portare loro delle coperte e altri generi di prima necessità che al campo scarseggiavano. Onesto raggiunse Fossoli portando il necessario, ma riuscì a parlare solo con Masalta che, probabilmente intuendo il destino che attendeva lei e la sua famiglia, consegnò ad Onesto, come ultimo segno di gratitudine, un anello che fino ad allora aveva tenuto nascosto in una tasca cucita all’interno del suo vestito. Il 22 febbraio del 1944, sullo stesso convoglio su cui salì Primo Levi, vennero deportati ad Auschwitz. Una volta giunti al campo Ieshua e Masalta, ormai sessantenni, vennero subito mandati alle camere a gas. Fingendosi fabbro, invece, Liko venne risparmiato e assegnato alla IG-Farben presso il campo di Buna-Monowitz. Lì conobbe Levi, con cui strinse un’amicizia destinata a durare anche dopo la guerra. Poco prima della liberazione del campo da parte dei sovietici, però, Liko venne nuovamente trasferito a Bergen-Belsen dove, ormai allo stremo delle forze e combattendo contro il tifo, riuscì a resistere fino alla liberazione da parte degli anglo-americani.

Il 14 gennaio del 1946 da Belgrado partì un telegramma indirizzato ad Onesto Coruzzi. Il mittente era Liko che, rientrato in patria, costruitosi una famiglia e assunto dall’azienda elettrica statale, scriveva al suo amico di Langhirano, ignaro di tutto, raccontandogli quanto accadde a lui e alla sua famiglia dopo la partenza da Fossoli.

Fu proprio il nuovo lavoro di Liko a dargli la possibilità d’incontrare ancora Onesto. Nel 1947, infatti, l’azienda elettrica inviò Liko a Milano per supervisionare l’acquisto di alcuni macchinari. Dopo aver svolto i suoi compiti, Liko ne approfittò per recarsi a Langhirano. Durante l’incontro, la famiglia Coruzzi restituì a Liko gli effetti personali che, contravvenendo alle disposizioni delle autorità italiane, aveva custodito omettendone la denuncia. Non solo gli oggetti di uso quotidiano e i vestiti, ma anche l’anello, grazie alla vendita del quale Liko e la moglie poterono comprare una casa in Israele dove si trasferirono di lì a breve.

Onesto rimase sempre in contatto con Liko che, di tanto in tanto, tornava con la sua famiglia a Langhirano per fargli visita. In una delle lettere conservate dal nipote di Onesto, Marco Valenti, Liko scrive di aver sognato l’amico e di essere in apprensione per la sua salute. Liko non poteva sapere che proprio il giorno del sogno, il 14 gennaio 1973, Onesto era venuto a mancare. Liko Israel si sposò con Gonda, ebbe una figlia, Nelly, e diversi nipoti, tra cui Hamutal. In memoria di Onesto, fece piantare dieci alberi nel bosco di Ben Shemen sulla via di Gerusalemme, un luogo molto caro agli ebrei di origine jugoslava. Morì in Israele nel 1987.

 

Questa storia è emersa dalle testimonianze dirette di Nelly, Hamutal, Giovanna Coruzzi e Marco Valenti. È inoltre comprovata da una ricca documentazione conservata presso l’Archivio Comunale di Langhirano che è stata esaminata e ordinata dagli alunni della V B dell’Istituto Carlo Emilio Gadda, coordinati dai prof. Alessandro Bonanini e Raffaella Agresti, con la collaborazione della responsabile dell’archivio Francesca Speculati, in occasione della Giornata della Memoria 2019.

Fonti:

- M. Minardi, Tra chiuse mura. Deportazione e campi di concentramento nella provincia di Parma 1940-1945, Montechiarugolo, Comune di Montechiarugolo, 1987.

- M. Minardi, Invisibili. Internati civili nella provincia di Parma, 1940-1945, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 313, 317.

- Archivio Comunale di Langhirano.

- Banca dati relativa agli ebrei vittime della persecuzione e deportazione dall’Italia fra il 1943 e il 1945 consultabile sulla piattaforma digitale “I nomi della Shoah” realizzata dal CDEC, “Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea”.

- Database “Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico”, a cura di Anna Pizzuti.